Più lontano di cosi by Lucrezia Lerro

autore:Lucrezia Lerro
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2019-05-15T00:00:00+00:00

12

Il carabiniere accompagnandomi al taxi che attendeva in cortile, con una stretta di mano disse: “La fedina che porta al dito è di brillanti veri. Dice che sono zirconi ma sono brillanti. La tenga ben nascosta perché Roma è piena di balordi sia in centro che in periferia, non vorrei che con la scusa di chiederle un’informazione le tagliassero il dito.” L’uomo rimase qualche secondo in silenzio, il sorriso stampato sulle labbra, continuò: “Mi dia retta, è il mio mestiere, il tassista potrebbe essere d’accordo con un malvivente della zona. Non mi stupirei.”

“A questo punto,” risposi, “me la levo e la infilo nel portafogli. Non mi sento tranquilla.”

“Brava,” disse, “sono sicuro che lui non l’ha vista. Stia attenta a girare per la città. Lei è fidanzata?”

Evitai di rispondere. “Grazie, grazie, grazie,” ripartii con la cantilena del ringraziamento. “Grazie, le invierò il mio libro. Grazie.”

Mi portai via una quantità di sensazioni che mi accompagnarono prima in hotel, poi durante il viaggio di ritorno in treno e nei giorni successivi.

Non riuscivo a pensare ad altro, l’ingiustizia che Luigi aveva subìto mi rivelava la provvisorietà di ognuno.

In taxi si ripresentarono le paure, il conducente chi era? Avrebbe cambiato tragitto per portarmi dai suoi compari?

Dopo poco ero in piazza dell’Indipendenza seduta a uno dei tavolini della gelateria. Leggevo le fotocopie dei documenti d’archivio, ogni tanto sollevavo lo sguardo verso il consorzio agrario che aveva ospitato negli anni Cinquanta l’Arena Cosmo. Era lì che mio zio era morto, graffiando il manifesto alle sue spalle, la locandina del film Parigi è sempre Parigi, me l’aveva raccontato bene la testimone, Marta Gilberto.

Lessi i fogli. Mi intrattenni nella piazza con il fiato sospeso, poi chiamai un taxi, per quel pomeriggio avevo promesso a un amico che sarei andata ad ascoltare la sua conferenza, tra l’altro la manifestazione si sarebbe svolta in un teatro nei pressi di via Flaminia.

Ripercorrendo in macchina la strada pensai a quanto mi sarebbe piaciuto capire la ragione più nascosta della mia gita romana. Spesso i motivi veri, che si celano dietro alle scelte, non li decifriamo all’istante. E se capita che all’improvviso ne intuiamo uno, restiamo sbalorditi per come avevamo agito in questa o in quell’altra situazione senza saperne il motivo.

Davanti al teatro mi sentii disorientata. Ripensavo alla visita a Rebibbia, al carabiniere e al dirigente dell’Assise, al complesso giudiziario isolato dal resto del mondo, al proiettile che avevo estratto dalla busta sigillata con la ceralacca. Il modo per portare in vita Luigi era raccogliere ogni tessera della realtà, per ricomporre il puzzle. Toccare il proiettile mi aveva dato la possibilità di entrare nel corpo ferito a morte.

“Che bello vederla a Roma,” disse Orazio. Il suono della sua voce mi fece trasalire. Ci conoscevamo da tre anni, ma non avevamo perso l’abitudine di darci del lei.

“Sono contenta di vederla, è la prima volta che ci incontriamo fuori Milano.” Si allontanò infilandosi nelle orecchie gli auricolari.

Noi due, né troppo vicini né troppo lontani, avevamo bisogno di mantenere una distanza di sicurezza, da che cosa? Mi venne voglia di andargli dietro per parlargli di mio zio, per raccontargli della visita a Rebibbia.

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